La Grancontessa Matilde di Canossa è certamente una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano: vissuta in un periodo di continue battaglie, di intrighi e scomuniche, seppe dimostrare una forza straordinaria, sopportando anche grandi dolori e umiliazioni, mostrando un'innata attitudine al comando ma anche la capacità di suscitare il profondo amore di tutti i suoi sudditi.
Nel 1055 Matilde rimase, a nove anni, erede di un territorio che si estendeva dalla Toscana a Mantova.
Dopo anni trascorsi in Germania, presso la corte imperiale ed un matrimonio in Belgio, tornò in Italia e con la madre, si dedicò al governo del feudo nel momento in cui esplodeva il contrasto tra Papato e Impero.
Ne furono protagonisti il papa Gregorio VII, e il giovane imperatore Enrico IV.
Con la dieta di Worms, il Papa venne deposto e diffamato.
Immediatamente però i principi tedeschi, per ridimensionare il potere imperiale, mutarono poi il loro orientamento e al concilio di Tribur, l'imperatore, già scomunicato, fu duramente contestato.
Per un chiarimento definitivo papa Gregorio si mette in viaggio per la Germania ma l'arrivo dell'imperatore lo induce a rifugiarsi al castello di Canossa sotto la protezione della fidata Matilde. Qui, dopo un lungo negoziato, il 26 gennaio 1077, Enrico, in veste di pellegrino, ottiene il perdono del Papa sotto le mura del castello. Umiliazione patita per convenienza politica, come dimostra l'immediata ripresa della lotta.
Nel 1086 muore papa Gregorio.
Nel 1092 le truppe di Matilde mettono in fuga, nella battaglia di Bianello, presso Reggio, l'esercito imperiale venuto per lavare l'umiliazione del 1077.
Salvatasi dalla minaccia, Matilde si dedica a rafforzare e allargare il suo feudo.
E, fra le altre cose, partecipa in modo determinante alla fondazione dell'Università di Bologna.
Nel 1111 a Bianello incontra il nuovo imperatore, Enrico V, figlio del suo grande nemico, che la nomina vice regina d'Italia.
Muore a Bondeno di Roncore nel luglio 1115 e nel '600 verrà traslata a Roma, nella basilica di San Pietro, in un sarcofago monumentale realizzato dal Bernini.
Fu proprio "la magna comitissa" ha capire l'estrema importanza della coltivazione del castagno come base per la sopravvivenza alimentare delle popolazioni montane italiane.
Con questo fine quindi promulgò regolamenti che portarono ad un reale miglioramento della produttività dei castagneti così da fornire agli abitanti dei suoi domini di una fonte di sostentamento certa, quando ancora la patata non c’era.
Con l'ausilio della sapienza dei monaci vengono moltiplicate le piante e messe a dimora in aree vocate, nel rispetto di un criterio agronomico chi viene definito ancor oggi "sesto d’impianto matildico", dove le piante di castagno, allevate in forma libera, sono disposte ai vertici di triangoli sfalsati ad una distanza di circa 10 metri.
Con questo sistema si poteva anche sfruttare l’erba del sottobosco quale pascolo per le greggi e si raccoglievano agevolmente le foglie da utilizzare nella stalla quale alimento e giaciglio per gli animali.